lunedì 10 marzo 2008

La nascita dei "giovani"

Nel mondo occidentale, il problema della tossicomania è stato posto con sempre maggior rilievo nel secolo scorso, a partire dai primi anni Cinquanta. Prima d’allora, il fatto che esistesse comunque già da decenni un enorme numero di tossicodipendenti non aveva ancora destato grande impressione nell’opinione pubblica. Questo perché l’uso di droghe era in massima parte circoscritto a gruppi sociali discriminati e oppressi da sempre: i neri d’America, in primo luogo; e poi quelle frange della comunità d’origine europea più emarginate socialmente. In ogni caso, comunque, il problema della tossicomania non investiva il proletariato né, tanto meno, la piccola e media borghesia.
E’ noto peraltro che molti comportamenti socialmente “diversi” sono riscontrabili storicamente innanzitutto agli estremi della gerarchia economica della società: le classi più abbienti e il sottoproletariato. Comportamenti “diversi” in molti ambiti: qui basterà citare i modi sessuali e quelli attinenti all’uso di droghe.
Per quanto concerne la tossicomania, essa è un problema anzitutto economico e di classe. I tossicomani che possono agevolmente disporre di danaro non hanno bisogno di rubare o prostituirsi per comprare la droga. Essi possono anche essere sufficientemente sicuri che le droghe acquistate non siano di qualità scadente. I tossicomani poveri, privi di mezzi, non hanno scelta: devono continuamente varcare i limiti della legge per procurarsi l’eroina; possono con facilità essere costretti ad acquistare dosi di pessima qualità e altamente nocive; essi, di fatto, non sono in grado di sottrarsi ad un sistema di sfruttamento multiplo articolato in modo complesso.
Alla fine della seconda guerra mondiale, le tossicomanie cominciano una lenta e inesorabile espansione anche nelle altre classi sociali. Per quali motivi?
Mario Maffi, in “La Cultura Underground”, edito da “Laterza”, sostiene che il "generation gap" parte "dagli anni bui dell’immediato dopoguerra", prosegue "attraverso la ripresa degli anni Cinquanta e via via verso gli anni Sessanta". E’ in questo periodo che “il mondo dei minorenni prende lentamente volto, si sceglie nuovi idoli, un costume di vita, un modo di vestire, amare, ballare, fare all’amore, pensare, sempre più lontani da quelli della generazione precedente e soprattutto dei genitori… Un processo graduale, aspro, caratterizzato a volte da posizioni di aperto conflitto, spesso drammatico proprio per la condizione in cui i giovani venivano a trovarsi alla fine della guerra, estraniati, privi di quei simboli e valori che erano stati svuotati e infranti dalla guerra, con la sensazione di vivere in bilico sul baratro del conflitto atomico, facili prede del clima di violenza e disperazione proprio del dopoguerra. Fu questo vivere violentemente e aspramente, questo non poter comprendere appieno la propria vita e la realtà esterna a caratterizzare il nuovo ‘gruppo culturale’, la ‘sottocultura giovanile’, La realtà sociale e legami soprattutto emotivi accomunavano larghi strati di giovani alla ricerca di un’identità”.
Quegli anni vedono nascere dunque una nuova figura sociale: il “giovane”. Una figura che ben presto si struttura in gruppo sociale. E qui ha origine un ulteriore fenomeno assolutamente nuovo: un gruppo sociale che si sviluppa in una dimensione storica, culturale, psicologica, nella quale non trova spazio alcun criterio di produttività.
Il fatto che negli ultimi cinquant’anni si sia tanto parlato di giovani e cultura giovanile può indurre la convinzione che queste figure sociali e queste categorie siano sempre esistite. I giovani in quanto tali e la loro cultura sono un prodotto e una conseguenza della seconda guerra mondiale. Prima esistevano i ragazzi, gli adolescenti, che poi sarebbero diventati adulti, esattamente come era avvenuto per le generazioni precedenti. Questi ragazzi non avevano atteggiamenti, e tanto meno consumi, che potessero distinguerli come figure sociali autonome. Non avevano, di fatto, un modo di vestire, di parlare, di comportarsi che potessero essere definiti in qualche maniera come loro esclusivo e peculiare appannaggio.
Per quanto concerne i consumi, c’è da dire anzitutto che nessuna industria avrebbe mai prodotto alcunché per una categoria i cui componenti non avevano danaro. I ragazzi consumavano in genere immagini e prodotti che erano in comune con gli adulti: i giornali sportivi, ad esempio. E anche i fumetti, che magari potrebbero essere definiti come consumo giovanile, si rifacevano in gran parte a immagini adulte: da Nembo Kid (oggi più noto come Superman) a Mandrake, a Gordon Flash, all’Uomo Mascherato. Lo stesso Topolino, al di là dell’apparente astrattezza, era evidentemente un modello adulto.
La musica poi non faceva assolutamente parte dei già esigui consumi giovanili. Il jazz, in quegli anni, non veniva certamente concepito come musica dei giovani. I divi della canzone, come Nilla Pizzi, Achille Togliani, Claudio Villa, Luciano Tajoli, erano chiaramente componenti del mondo degli adulti.
Con la fine della seconda guerra mondiale comincia dunque a vedere la luce questa nuova creatura sociale: il giovane. E uno dei suoi consumi per eccellenza diviene fin da subito la musica.

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