venerdì 29 febbraio 2008

Il problema della consapevolezza

Ho letto un post consigliato da Luca De Biase (debiase), scritto da Toshan Ivo Quartiroli e comparso su innernet. Si intitola “Consapevolezza politica”. E’ uno scritto interessante. Mostra come tematiche rilevanti vengano ancora affrontate con un linguaggio stereotipato, anche da uomini che si occupano di scienze. Quartiroli usa una gran quantità di immagini metaforiche con un linguaggio enfatico, troppo connotato in senso moralistico, e alla fine poco credibile. L’approfondimento di temi concernenti la vita della società richiede di evitare moralismi ed esortazioni. Sarebbe opportuno usare un linguaggio rigoroso. E’ preferibile una maggiore sobrietà, che non significa indifferenza alle problematiche etiche, ma ricerca di un’analisi dei fatti non inficiata da anticipazioni di giudizio.
Il problema della “consapevolezza”. Il teorema di Godel smantella ogni teoria della prevedibilità. La sua dimostrazione si fonda sulla peculiarità dei numeri primi: l’impossibilità di prevedere la loro successione. Quando si moltiplicano i numeri naturali positivi per ognuno degli altri non si ottiene una sequenza che colmi tutti i numeri. Prima o poi compare un numero che risulta essere il primo della sua serie, e non è possibile prevedere quando ciò si verificherà: se fosse prevedibile significherebbe che quel numero non è il primo della sua serie ma l’ennesimo di un’altra serie. Se ne deduce quindi che se si aggrega un enunciato vero ad ogni numero primo esisterà inevitabilmente un enunciato vero che non è desumibile da tutti gli enunciati veri già conosciuti. La formulazione di un sistema assiomatico universale è perciò impossibile.
Cosa sarebbe dunque questa “consapevolezza” di cui si è sempre parlato così tanto? Parrebbe un sistema compiuto di conoscenza, giudicato possibile, anzi inevitabile, perfino da Einstein, secondo il quale “Dio non gioca a dadi”. Ma poiché pare indiscutibile l’impossibilità di proporre un sistema universale prevedibile e finito, se ne ricava che la “consapevolezza” in quanto tale dovrebbe nascere prima dell’analisi e della conseguente valutazione di qualsiasi evento. Questo è quello che accade infatti in qualunque religione o in ogni sistema fondato su dogmi e credenze aprioristiche. E’ accettabile? Secondo quali criteri? E per quale motivo un dogma dovrebbe essere più o meno vero di un qualsiasi altro, considerata l’ovvia indimostrabilità degli stessi dogmi?
Il bisogno di rassicurazione pare nato insieme con l’uomo. Ne è sempre conseguita una prevalenza di suggestioni più che la ricerca e la diffusione di informazioni e conoscenze ben comprensibili ed esposizioni metodologiche adeguatamente chiare. Qualsiasi credenza si fonda sull’idea che da qualche parte provenga un’indicazione diversa e di qualità molto migliore di tutto il resto: un’ispirazione elevata per coltivare valori spirituali. D’altro canto, dotare di spiegazioni più o meno nobili le motivazioni vere è un meccanismo noto fin dai tempi di Esopo. Come è evidente che stare dalla parte degli angeli è molto più rassicurante che far parte delle scimmie. La frase di Disraeli in polemica con Darwin è paradigmatica in questo senso: “La domanda è la seguente: l’uomo è una scimmia o un angelo? Mio Dio, io sto dalla parte degli angeli”. Più chiaro di così…
Il problema è dunque l’illusione che il conflitto tra fede e scienza, religione e laicismo, spiritualismo e materialismo sia questione falsa o di poca importanza. La contrapposizione è invece seria e profonda e non sembra facilmente risolvibile.

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